Sarajevo,
oggi. Luna e Amar sono giovani, si amano e hanno un buon lavoro. Quando però
lui viene licenziato a causa del suo problema con l’alcol, le cose peggiorano.
Assunto come tecnico in una comunità musulmana distante da Sarajevo, Amar si fa
sedurre dal radicalismo islamico, lasciando a Luna, rimasta a vivere in città,
la sensazione di aver perso l’uomo che amava. Costretta a fare i conti con la propria vita, la donna sceglierà per la propria libertà e indipendenza.
La giovane Jasmila Zbanic, già vincitrice dell’Orso d’oro a
Berlino nel 2006 con Il segreto di Esma,
torna con Il sentiero a riflettere
sulla società bosniaca emersa dalla guerra civile, affrontando con sensibilità
femminile la questione del rapporto fra cultura e religione in una regione
fondamentale per gli equilibri dell’Europa. Il film arriva nelle sale italiane dopo
più di due anni dalla presentazione sempre a Berlino e si pone, insieme con Cirkus
Columbia, presentato al Circolo
del cinema Il Nucleo lo scorso gennaio, come una delle opere più sensibili e
delicate su una delle grandi questioni aperte (e sovente dimenticate) dell’Europa
unita.
E se per noi “occidentali”
– in realtà vicini di casa indifferenti – il sanguinoso conflitto
bosniaco-serbo con le sue migliaia di morti e il suo corollario di stragi
etniche è storia archiviata, per coloro che l’hanno vissuto in prima persona,
no. Né per la Zbanic, né, di conseguenza, per i personaggi tormentati dei suoi
film. In particolare, per la hostess Luna e per il controllore di volo Amar,
giovane coppia di musulmani nella Sarajevo multiculturale di oggi. Potrebbero
essere felici, ma lui, ossessionato dai fantasmi della guerra, cerca pace nel
credo integralista di un gruppo Wahabita, dove le donne sono soggette a regole
restrittive. E le contraddizioni di un paese, le sue ferite insanabili, i suoi
conflitti sempre nuovi e sempre vecchi emergono con spaventosa verità e sottile
complessità. La Zbanic è sottile nell’osservare l’apparenza di una società
normale ma che porta dentro cicatrici e ferite di guerra ancora non rimarginate
e di cui soprattutto le donne sono testimoni e vittime.
È infatti Luna la vera
protagonista del film, nonostante la relazione con il marito Amar, tra un liquore
di troppo, un bambino che non arriva e la scelta dell’inseminazione
artificiale, resista (o almeno provi a resistere) alla spinta violenta dell’integralismo.
Luna vive da testimone e da sguardo lucido l’integralismo dove il Corano non è
suscettibile di interpretazione personale e dove donne e uomini sono divisi da
veli e pareti, da differenti diritti, differenti doveri. Fisicamente,
simbolicamente. Il triangolo, in questa storia d’amore dai nervi radicati nel
territorio, è tra lei, lui e la Religione. Perché la guerra, a Sarajevo, nell’ex
Jugoslavia, forse ovunque, è un conflitto soprattutto privato. Perché lui è
sedotto da un credo totalitario: che pensa in sua vece, che finalmente lo
controlla. E anche se lei è paziente, la fede acceca infine anche l’amore
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