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Il cineocchio: 2-3 maggio

Il sentiero di Jasmila Zbanic



Sinossi
Sarajevo, oggi. Luna e Amar sono giovani, si amano e hanno un buon lavoro. Quando però lui viene licenziato a causa del suo problema con l’alcol, le cose peggiorano. Assunto come tecnico in una comunità musulmana distante da Sarajevo, Amar si fa sedurre dal radicalismo islamico, lasciando a Luna, rimasta a vivere in città, la sensazione di aver perso l’uomo che amava. Costretta a fare i conti con la propria vita, la donna sceglierà per la propria libertà e indipendenza.


La giovane Jasmila Zbanic, già vincitrice dell’Orso d’oro a Berlino nel 2006 con Il segreto di Esma, torna con Il sentiero a riflettere sulla società bosniaca emersa dalla guerra civile, affrontando con sensibilità femminile la questione del rapporto fra cultura e religione in una regione fondamentale per gli equilibri dell’Europa. Il film arriva nelle sale italiane dopo più di due anni dalla presentazione sempre a Berlino e si pone, insieme con Cirkus Columbia, presentato al Circolo del cinema Il Nucleo lo scorso gennaio, come una delle opere più sensibili e delicate su una delle grandi questioni aperte (e sovente dimenticate) dell’Europa unita.

E se per noi “occidentali” – in realtà vicini di casa indifferenti – il sanguinoso conflitto bosniaco-serbo con le sue migliaia di morti e il suo corollario di stragi etniche è storia archiviata, per coloro che l’hanno vissuto in prima persona, no. Né per la Zbanic, né, di conseguenza, per i personaggi tormentati dei suoi film. In particolare, per la hostess Luna e per il controllore di volo Amar, giovane coppia di musulmani nella Sarajevo multiculturale di oggi. Potrebbero essere felici, ma lui, ossessionato dai fantasmi della guerra, cerca pace nel credo integralista di un gruppo Wahabita, dove le donne sono soggette a regole restrittive. E le contraddizioni di un paese, le sue ferite insanabili, i suoi conflitti sempre nuovi e sempre vecchi emergono con spaventosa verità e sottile complessità. La Zbanic è sottile nell’osservare l’apparenza di una società normale ma che porta dentro cicatrici e ferite di guerra ancora non rimarginate e di cui soprattutto le donne sono testimoni e vittime.

È infatti Luna la vera protagonista del film, nonostante la relazione con il marito Amar, tra un liquore di troppo, un bambino che non arriva e la scelta dell’inseminazione artificiale, resista (o almeno provi a resistere) alla spinta violenta dell’integralismo. Luna vive da testimone e da sguardo lucido l’integralismo dove il Corano non è suscettibile di interpretazione personale e dove donne e uomini sono divisi da veli e pareti, da differenti diritti, differenti doveri. Fisicamente, simbolicamente. Il triangolo, in questa storia d’amore dai nervi radicati nel territorio, è tra lei, lui e la Religione. Perché la guerra, a Sarajevo, nell’ex Jugoslavia, forse ovunque, è un conflitto soprattutto privato. Perché lui è sedotto da un credo totalitario: che pensa in sua vece, che finalmente lo controlla. E anche se lei è paziente, la fede acceca infine anche l’amore

La forza del film sta nella capacità con cui la regista, da un lato, ritrae con minuzia e sensibilità la sua protagonista e dall’altro si propone il compito di restituire la complessità della questione religiosa interna, il dissidio che non può che essere una questione familiare: l’islamismo non coincide con l’integralismo, l’integralismo non coincide necessariamente con il terrorismo. Eppure a Sarajevo esiste un problema identitario e prettamente sociale che può trasformarsi in un conflitto etico, morale, ancora civile.

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