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Il Cineocchio: 18-19 aprile 2012

Le nevi del Kilimanjaro di Robert Guédiguian



Sinossi
Licenziato dopo anni di servizio, il marsigliese Michel è nonostante tutto felice: accanto a sé ha la moglie Marie-Claire, i figli, i nipoti e gli amici più cari. Un giorno due uomini mascherati fanno irruzione nella sua casa e rubano tutto dopo averlo malmenato: il vero shock, però, arriverà quando Michel e la moglie scopriranno l’identità degli aggressori.



La classe operaia va in purgatorio. Ma lo scopre quando è troppo tardi. Quando ormai ha passato la mezz’età e si è abituata ai suoi minuscoli privilegi da welfare, conquistati a duro prezzo in un secolo in cui era ancora possibile contrattare con il potere democratico e il capitale. Senza accorgersi che, nel frattempo, all’inferno ci sono finti gli altri, gli eredi delle lotte sindacali, i figli gettati nel mondo del lavoro senza regole, i giovani, i precari, i sottoccupati cronici. Gente che la vecchia coscienza di classe non sa neanche cosa sia, ed è disposta a tutto per sopravvivere. Anche a impugnare una pistola e rapinare i compagni.

Mai stanco di raccontare storie di povera gente, sempre attorniato dai collaboratori di sempre (l’attrice e moglie Ariane Ascaride, il fedelissimo Jean-Pierre Darroussin, già visto questa stagione in Miracolo a Le Havre, dove interpretava l’ispettore dal cuore d’oro), il francese Robert Guédiguian affronta come Kaurismaki i mali della società contemporanea con una commedia militante e sottilmente rabbiosa.
Dignità, integrità, rispetto, solidarietà: sono questi i valori che il mondo di oggi ha messo in discussione, dopo anni di conquiste civili e sindacali. Travolti dall’evoluzione del mercato del lavoro, dalla povertà strisciante, queste parole d’ordine di una società giusta sono diventate desideri urgenti ma irraggiungibili per quegli ultimi della terra che da sempre sono al centro del cinema di Guédiguian. Non solo Michel, il protagonista di Le nevi del Kilimanjaro, così allergico ai privilegi che quando deve tirare a sorte venti compagni da licenziare per una ristrutturazione mette anche il suo nome nel bussolotto, ma anche e soprattutto gli altri, i reietti, i «miserabili», per dirla con Victor Hugo, a un cui poema (Les pauvres gens) è ispirato questo film struggente: il giovane ladro che picchia e rapina perché ha due fratellini da accudire, la madre degenere che vomita in faccia le sue «cattive» ragioni all’attonita Marie-Claire. O quell’amico di tutta una vita, che non ha nessuna pietà di quel ladro disperato, anzi gli augura quindici anni di lavori forzati, non di cella con bagno e tv. Finché non ci si mette la volontà dei singoli, il coraggio individuale, a risolvere le cose, perché non c’è coscienza collettiva se prima non si fanno i conti con la propria.

Dice Malraux, citato da Guédiguian: «Un film popolare è quello che rivela alla gente la grandezza che ha dentro». Ma questa volta il regista francese, trovando la leggerezza di toni dei suoi film migliori (Marius et Jeanette, 1998, su tutti), fa qualcosa in più rispetto al solito: non solo rimanda con il suo film alla tradizione del realismo poetico, non solo riecheggia echi del cinema che si faceva in Francia negli anni ’30, ai tempi del Fronte popolare, non solo, venendo ad anni successivi, riprende l’idea dell’«immaginazione al potere», ma realizza un’opera sul potere della favola. Una favola sulla volontà di superare la débacle del proletariato nell’apologo degli ultimi, con la musica sacra a officiarne l’unione ritrovata. Pia illusione, perché invero è un nostalgico scoramento a segnare la storia de film, tra rapimenti, tradimenti e successivi pentimenti.

Quella di Guédiguian è dunque una favola fatta di rimpianti, poiché la classe operaia ha perso la prospettiva di un futuro possibile, dal momento che la classe operai sta per scomparire, sostituita da una o più generazioni di diseredati senza diritti, ma il mondo continua ad andare avanti per la sua strada. E la a sciogliersi al sole della nostra brutta realtà.

1 commento:

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