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Il Cineocchio - 11-12 aprile

Tomboy di Céline Sciamma



Sinossi
Laure, una ragazzina di circa dieci anni dall’aspetto mascolino, si è recentemente trasferita in un nuovo quartiere con i suoi genitori e la sorellina, Jeanne. E’ estate e nonostante gli altri ragazzi si divertano a giocare all’aperto, Laure ha difficoltà a integrarsi con loro. Ma un giorno incontra Lisa, una ragazzina che ha esattamente la sua stessa età. Laure le fa credere di essere un maschio facendosi chiamare Mikael. Questa trasformazione le fa conquistare non solo l’amicizia di Lisa, ma anche degli altri ragazzi. Col passare del tempo, il rapporto con Lisa diventa sempre più stretto, rivelando anche qualche ambiguità.





Dimostrazione esemplare che “piccolo film” non vuol dire sempre “film piccolo”, Tomboy di Céline Sciamma è uno dei film più sorprendenti della scorsa stagione cinematografica, l’ennesima – piacevole – dimostrazione di quanto il cinema francese sappia essere preciso e discreto nel tratteggiare sentimenti fragili e indecifrabili come quelli dell’infanzia. Si rimane infatti ammirati e stupiti per la semplicità con cui a volte il cinema d’Oltralpe affronta argomenti e temi che il nostro cinema giovane ignora o tratta, semmai lo fa, con mano pesante e pretese di autorialità. Non ricordiamo in anni recenti una rappresentazione dell’infanzia autentica come quella che ci offre Tomboy. Se a volte la verbosità del cinema francese adulto ci allontana, dobbiamo riconoscergli, da sempre, una familiarità e  una consuetudine maggiore con l'universo bambino, con la cellula ricca e complessa che dà origine all'uomo o alla donna di domani.

Tomboy (che in inglese significa “maschiaccio”) è realizzato con un minimo di mezzi: una telecamera Canon 5D, troupe ridotta all’osso, venti giorni di lavorazione, cinquanta scene in due-tre ambienti. Eppure, per quanto piccolo, è una parabola intelligente e affettuosa sui labili confini dell’identità sessuale, un film minimalista intessuto di eventi quotidiani affrontati con una mirabile pudicizia di sguardi e sensazioni.

Soprattutto, però, nella sua apparente modestia, Tomboy è un film che ha coraggio da vendere: i suoi temi sono tra i più complicati e rischiosi, tra l’esplorazione della sessualità e la ricerca dell’identità, il libero arbitrio e la solitudine del diverso. Argomenti pesanti resi però lievi dalla regia precisa e rigorosa della trentatreenne Sciamma, al suo secondo film dopo Naissance des Pieuvres, anch’esso una delicata esplorazione dell’incerta sessualità adolescenziale.

La macchina da presa, infatti, accarezza con pari discrezione e intensità il corpo androgino e i pensieri segreti di Laure/Michael. Concentrando in dettagli quasi impercettibili tempeste di emozioni e conflitti invisibili ma violentissimi. Con una disinvoltura, una leggerezza, un’esattezza sentimentale che attraverso il prisma dell’infanzia disegnano con precisione rara il campo di battaglia dell’identità, anche adulta. Segno di un talento fuori dal comune, a cui forse non è estranea la storia personale della regista, nipote di “italiani d’Egitto”, parole sue, cioè ebrei d’Alessandria, costretti a riparare a Parigi «dove diventarono francesi e cattolici». Una minoranza nella minoranza, insomma. E in fatto di sensibilità minoritaria, le donne spesso hanno una marcia in più.

E con scene divertenti e naturali (la sequenza della preparazione di Laure/Michael per il bagno al lago), la tenerezza di una situazione famigliare verosimile e uno sguardo sempre ad altezza di bambino, questa donna, questa regista giovane e dal futuro assicurato, riesce a raccontare in 80 essenziali minuti un personaggio e il suo mondo. E sarà un caso, inoltre, o solo un’impressione della critica contemporanea, ma il cinema di oggi registra una crescita esponenziale di talenti femminili. È una sensazione, non un dato statistico. E un film notevole come Tomboy, 250.000 spettatori in Francia, premio Panorama al Festival di Berlino del 2011, primo premio anche al Festival di tematiche omosessuali di Torino, fa pensare che dopo un secolo di strapotere maschile la settima arte abbia individuato un vasto terreno inesplorato. 

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