Shun Li lavora in un laboratorio tessile della
periferia romana per ottenere i documenti e riuscire a far venire in Italia suo
figlio di otto anni. All’improvviso viene trasferita a Chioggia, una piccola
città isola della laguna veneta per fare la barista in un’osteria. Bepi,
pescatore di origini slave, soprannominato dagli amici “il Poeta”, da anni
frequenta quel piccolo locale. L’amicizia tra Shun Li e Bepi turba le due
comunità, quella cinese e quella chioggiotta, che ostacolano questo nuovo
viaggio, di cui forse hanno semplicemente troppa paura.
Il primo lungometraggio di finzione del regista veneto Andrea Segre, affermato e apprezzato documentarista, è uno dei film italiani più sorprendenti della stagione. È un film ben scritto, ben girato, meravigliosamente recitato da attori professionisti e altri all’esordio nel cinema; un film che racconta il qui e ora del nostro paese, i suoi mutamenti culturali e le sue paure, le sue piccole ricchezze e le sue grandi difficoltà, con il massimo dell’intelligenza e della delicatezza.
Protagonista assoluta del film è la cittadina di provincia al centro di una storia d’amore onesta e purtroppo “pericolosa”, Chioggia, la sua laguna e il suo clima umido, onnipresente personaggio fatto d’acqua. È l’acqua, infatti, che cresce, che inonda le vite di chi passa i giorni al bar a bere qualche “ombra”, che annaffia le paure di una comunità poco abituata al nuovo, che irriga il senso di solitudine di chi non ha più molto da chiedere al giorno successivo. Cala e scopre sentimenti ignorati, rinfresca i corpi che invecchiano, fa crescere rimpianti e rinascere semplici piaceri quotidiani.
Un giorno la marea porta Shun Li nella vita di un gruppetto di avventori di una osteria di pescatori. Lei, giovane cinese, in un ritrovo per chioggioti abitudinari nelle cui vene scorre solo l’acqua della laguna. È l’invasione che arriva. La superpotenza straniera che colonizzerà i canali e assoggetterà gli abitanti del posto. Se da un lato chi dovrebbe allargare le braccia e lasciar entrare chi ha bisogno e voglia di migliorare la sua condizione, alza muri invalicabili, comunque dall’altro gli “ospiti” non fanno di meglio, e a loro volta si attorcigliano su se stessi, col risultato che chi si trova nel mezzo è stritolato.
Segre racconta di una realtà dove si ragiona per luoghi comuni e pregiudizi, di un mondo dove è la diffidenza a dare senso a tutto. La malizia e il timore del prossimo arrivano prima dell’accoglienza e della solidarietà.
L’unico personaggio che non sente aderire su di sé l’odore salmastro della laguna, e con sincerità fa quello che tutti dovrebbero fare, è il poeta Bepi. Bepi parla con Shun Li come con chiunque altro essere umano al mondo e, nella semplicità di un incontro disinteressato, si accorge che a migliaia di chilometri di distanza si pesca come a Chioggia, che la nostalgia di casa si sente dappertutto e che chi è solo e straniero è in questa condizione in ogni angolo del pianeta.
Tutto questo senza alcuna
retorica, in scene madri sussurrate, brevi frasi tra cinese e dialetto
veneziano, con silenzi e piccoli gesti, mentre la laguna scandisce i tempi e
l’acqua si confonde con timide lacrime.
Note di regia di Andrea Segre
Dal sito ufficiale del film.
L’idea del film nasce da
due esigenze: da una parte la necessità di trovare in una storia, allo stesso
tempo realistica e metaforica, il modo per parlare del rapporto tra individuo e
identità culturale, in un mondo che sempre più tende a creare occasioni di
contaminazione e di crisi identitaria; dall’altra la voglia di raccontare due
luoghi importanti per la mia vita e molto emblematici nell’Italia di oggi: le
periferie multietniche di Roma e il Veneto, una regione che ha avuto una
crescita economica rapidissima, passando in pochissimo tempo da terra di
emigrazione a terra di immigrazione.
In particolare, Chioggia,
piccola città di laguna con una grande identità sociale e territoriale, è lo
spazio perfetto per raccontare con ancora più evidenza questo processo.
Ricordo ancora il mio incontro con una donna che potrebbe essere Shun Li. Era in una tipica osteria veneta, frequentata dai pescatori del luogo da generazioni. Il ricordo di questo volto di donna così estraneo e straniero a questi luoghi ricoperti dalla patina del tempo e dell’abitudine, non mi ha più lasciato. C’era qualcosa di onirico nella sua presenza. Il suo passato, la sua storia, gli spunti per il racconto nascevano guardandola. Quale genere di rapporti avrebbe potuto instaurare in una regione come la mia, così poco abituata ai cambiamenti? Sono partito da questa domanda per cercare di immaginare la sua vita.
Io sono Li è anche un punto di sintesi del mio percorso registico nell’ambito del cinema-documentario, attraverso cui mi sono occupato negli ultimi dieci anni principalmente di due temi: le migrazioni verso l’Europa (A metà, A sud di Lampedusa, Come un uomo sulla terra, Il sangue verde) e il territorio sociale e geografico del Veneto (Marghera Canale Nord, Pescatori a Chioggia e La mal’ombra).
Le varie esperienze di
regia con il cinema documentario mi hanno permesso di apprezzare il racconto
non solo del reale, ma anche nel reale, aiutandomi a capire come con esso sia
possibile scoprire la dimensione intima e profondamente umana della realtà,
anche di tematiche urgenti ed attuali della società odierna.
In Io sono Li ho voluto rispettare modi e stili conosciuti nel
cinema-documentario, lavorando anche con attori non professionisti e scegliendo
sempre location del mondo reale.
Al tempo stesso la
precisione e la sottigliezza del linguaggio cinematografico orientale e di
alcuni importanti esempi del cinema indipendente internazionale sono state
tracce importanti per riuscire a raccontare le atmosfere e i luoghi che ho
scelto per questo film.
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