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Il Cineocchio - 14-15 marzo


Drive di Nicolas Winding Refn


Sinossi
Driver (Ryan Gosling) è uno stuntman automobilistico di Los Angeles che per arrotondare lavora come autista per azioni criminali. Solitario, silenzioso, precisissimo, mette a repentaglio la propria vita per aiutare la vicina Irene (Carey Mulligan), moglie di un carcerato e madre di un bambino: prima si fa coinvolgere in un colpo e poi comincia a saldare conti in sospeso.



Drive è uno dei film simbolo del cinema contemporaneo: un action movie d’autore, un noir metropolitano pieno di citazioni dal cinema anni ’70 e ’80 (Walter Hill, Michael Mann, il cinema d’azione di Hong Kong), diretto da un giovane regista danese di ritorno a Hollywood dopo una prima, fallimentare esperienza, interpretato da attori in ascesa divistica (l’impassabile Ryan Gosling, la tenera e bellissima Carey Mulligan, la burrosa Christina Hendricks) e in generale fondato su una malinconia di fondo che oltre al ricordo e alla citazioni cinematografiche unisce violenza e romanticismo, morti ammazzati e baci appassionati, etica della rinuncia ed eroismo del quotidiano.

Il quarantenne Refn, uno dei sicuri registi del futuro, già vincitore con questo film del premio alla Miglior regia a Cannes, con Drive non ha deluso le attese di chi già lo seguiva da tempo: stuntman per il cinema e pilota per la criminalità, il suo protagonista senza nome (al quale il nuovo sex symbol Gosling offre una maschera straordinariamente impassibile) ci guida in una città inospitale che il cinema ha reso mitica, dove l’amore è solo potenza e dove la tenerezza e lo spirito paterno stanno nella stessa inquadratura della violenza iperrealista, del parossismo vendicativo che rasenta lo splatter. 


Su tutto, poi, si percepisce in ogni sequenza una dose massiccia di cinefilia e nostalgia spettatoriale, la rilettura colta e al tempo stesso appassionati di decenni di passione cinematografica: dalle Iene di Tarantino (evocate nei nomi Blanche e Bernie Rose) ai grandi arrabbiati degli anni ’70, dai tragitti malati del tossico
Abel Ferrara al moralismo di Schrader, fino addirittura al melodramma classico di Sirk e ai videoclip anni ’80 (si veda la bella scena della corsa nel canale asciutto di Los Angelese). Come estremo modello si arriva poi a quello più nettamente percepibile: quello cioè di Michael Mann, rievocato fin a parte da Strade violenti a Heat – La sfida nelle immagini riflesse, nella coreografia dell’azione, nel sottotesto esistenziale.

Quello di Refn, insomma, è un gioco serio e al tempo stesso divertito, forse calcolato: se da un lato ci regala le migliori sequenze d’azione degli ultimi anni, dall’altro indugia su un “ricatto estetico” che forza l’emozione dello spettatore, che mette in scena corpi belli, moderni, seduttivi per inscenare un’elegia della sconfitta e della violenza che come sempre vive della propria ambiguità.

Refn sa essere creativo pur essendo derivativo, ha un senso dell'inquadratura notevole e sa dislocare le figure nello spazio in modo tale da creare legami prima di tutto visivi e solo in un secondo momento narrativi. Ma al tempo stesso si percepisce qualcosa di calcolato e non così trasparente nel suo tentativo di richiedere al pubblico l'innocenza dello sguardo e contemporaneamente la sua consapevolezza: perché è proprio lì, in un’azione istintiva e calcolata, naif e vintage, dura e malinconica, che si percepisce la tipica passionalità contemporanea, che ha bisogno di vedersi assolta e mai messa in discussione. Un film come Drive, in definitiva, evoca furori appassionati e amori disperati, gioca sull’adesione emotiva non del cuore, ma del ricordo, fondandosi in modo anche illuminante, folgorante, ma al tempo stesso un po’ furbetto su un’idea di cinema estetizzante e riconoscibile.

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