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Il Cineocchio - 28, 29 marzo

Faust di Aleksandr Sokurov


Sinossi
In un paese della Germania del XVIII secolo Faust è un medico instancabilmente mosso dalla sete di conoscenza e soprattutto dal desiderio di soddisfare i suoi bisogni di uomo: la fame, il piacere, la cupidigia. Quando incontra il diavolo, incarnato in un orrida figura di vecchio, troverà il modo di assecondare i suoi istinti.


Chiudendo la tetralogia sul potere, iniziata nel 1999 con Moloch, dedicato agli ultimi giorni di Adolf Hitler, e proseguita nel 2002 con Taurus, su Lenin e la sua malattia, e nel 2005 con Il sole, folgorante ritratto dell’imperatore Hirohito, il grande regista russo Aleksandr Sokurov, uno dei maestri riconosciuti del cinema contemporaneo, trasforma il Faust di Goethe in un eroe modernissimo, un attonito e dubbioso uomo di scienza - instancabile, mai sazio, limitato, distaccato, coinvolto, perduto - che si fa tentare dal diavolo e guidare dalla propria ambizione.

Attraverso uno straordinario lavoro sull’immagine, trasformata in una superfice di volta in volta levigata, pittorica, decolorata, distorta, annebbiata, tra i marroni, i verdi, gli azzurri e i grigi di un passato sfumato, e la parola, modellata da Sokurov nella sua dimensione infinita, beffarda, esorbitante, illuminante, dispersa, Faust costruisce due ore e un quarto di flusso di coscienza in cui gli occhi e la mente sono presi d’assalto e continuamente messi alla prova. Il film, ostico e insieme emozionante, complesso e profondissimo, sembra un dipinto fiammingo, pieno di un realismo brulicante che contiene i segni grotteschi della maledizione. A partire dal testo di Goethe, inventa una deriva dell’eroe che riflette l’angoscia esistenziale di fronte alla finitezza della conoscenza e la debolezza di fronte alla seduzione del male.

E in un crescendo di corpi e oggetti, respiri e sussurri, luci e oscurità, grottesco ed elegia, al minimo della dignità intellettuale del Faust Sokurov fa corrispondere il massimo della ricercatezza cinematografica, indugiando nella ricerca iconografica, in un formalismo fin eccessivo, ma trovando come conseguenza alcune delle più belle sequenze d’amore mai viste al cinema, tra cui un dialogo di primissimi piani che ricorda le atmosfere dorate delle icone medievali e un tuffo in un lago che porta letteralmente a travalicare i confini tra la vita e la morte.

Quelli che Sokurov inventa nel suo capolavoro sono sprazzi di assoluta grazia pittorica, all’interno di un affresco così vivo e ispirato da vivere anche di un’ironia dissacrante e rozza. Perché il suo Faust è un uomo rassegnato eppure bramoso, desideroso di conoscenza e di potere ma fallibile come tanti eroi novecenteschi; come il Moses Herzog di Saul Bellow (protagonista del romanzo Herzog, vincitore del Premio Nobel), a suo modo un Faust contemporaneo pure lui, che passava la sua vita a lamentarsi, a costruirsi un’immagine di vittima e a non comprendere la propria inarrivabile stupidità. Dall’altra parte, il diavolo tentatore di Sokurov è una sorta di hobbit dall’aspetto disgustoso, grasso, informe, grottesco e spietato. Un diavolo che seduce e insinua il germe del male: ma un diavolo, attenzione, destinato a soccombere di fronte a un essere umano che si pone come novello Ulisse.

Divorato dantescamente dalla propria incolmabile hubris, a summa di tutti gli uomini di potere che hanno trasformato la Storia nel loro campo di battaglia, il Faust di questo inizio di millennio è mangiato dal proprio orgoglio senza fine: e nei ghiacci perenni dell’Islanda si sbarazza del diavolo per gridare al nulla il proprio desiderio di andare oltre – “oltre, oltre, oltre” – proseguendo in una allegorica, attualissima opera di esaltazione e auto distruzione.

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