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Il Cineocchio - 22 e 23 febbraio


Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki



Sinossi 
Marcel Marx è un uomo semplice, un ex-scrittore ritiratosi a Le Havre a fare il lustrascarpe insieme alla moglie Arletty. I suoi giorni scorrono tranquilli, finché una serie di accadimenti metteranno alla prova la sua calma: l'arrivo nella sua vita di un immigrato dall'Africa nera, l'ammalarsi della sua amata e il duro scontro con il sistema costituzionale occidentale. Tuttavia, il suo ottimismo non sembra cedere e il buon cuore degli abitanti del suo quartiere aiuterà non poco...


Miracolo a Le Havre è un capolavoro di leggerezza e bellezza, un film politico e utopico di grande attualità. Come ogni altro lavoro di Kaurismäki, è un film unico, fuori da ogni estetica imperante, realizzato da un regista geniale che gira in modo indipendente e da anni dà vita a un discorso di straordinaria coerenza.

Il grande pregio del cinema Kaurismäki, infatti, è sempre stato quello di essere profondamente autentico e sincero. Il suo è un cinema che non utilizza artifici né doppiezze, che dice esattamente quello che vuole dire. E in un’epoca nella quale sincerità fa sempre più rima con leggerezza, sorprende la capacità del regista finlandese di risultare spontaneo, elegante e rivoluzionario.

Sono molte le tipicità del cinema di Kaurismäki che emergono nella pellicola: ma al di là dell’ambientazione nei quartieri popolari di una città francese, dei personaggi anziani e puri, delle situazioni narrative segnate da un’ironia ingenua e fanciullesca, ciò che colpisce più di tutto è l’immutata volontà del regista di mandare con il suo cinema lineare eppure feroce un messaggio politico. La nota militanza dell’autore, come sempre stemperata dall’incedere morbido del racconto, dà vita a una rappresentazione mai eccessiva, eppure potente, di un mondo indifferente al quale non importa misurarsi con ciò che lo circonda.

Ce l’ha con l’Europa, Kaurismäki. Ce l’ha con un sistema globale che privilegia il denaro e dimentica le persone e con un apparato sovranazionale che utilizza i mezzi della legge per escludere invece che per accogliere. Ma soprattutto ce l’ha con la società contemporanea, una società che crede nei miracoli senza rendersi conto delle tragedie che accadono ogni giorno. Perché, nonostante il titolo italiano, nel film di miracoli non ce ne sono: forse perché, come dice Arletty al proprio medico, i miracoli non accadono nei quartieri come il suo o forse perché la semplice esistenza di un quartiere così è già molto più di un miracolo.

Ed è in effetti un luogo senza tempo, il piccolo sobborgo nel quale la storia è ambientata. Sin dall’inizio del film Kaurismäki si preoccupa di assegnargli un posto al di fuori della realtà quotidiana. E lo fa riempiendo di materiali e oggetti dallo stile antico e vagamente rétro tutta la scena; elementi che si scontrano, giocoforza, con i simboli di quella modernità che vive al di fuori del quartiere (il centro città, i container delle merci, il porto…).

Se Kaurismäki introduce l’inconciliabilità tra i mondi a cui sta dando vita, nel finale, quando ci mostra Monet il poliziotto (e tutto quello che egli rappresenta) aggirarsi tra le viuzze e infilarsi nel bar del quartiere, sancisce di fatto che il lieto fine non è dato tanto dall’armonia ritrovata e nemmeno dalla “miracolosa” guarigione di Arletty, ma dalla possibilità che le cose cambino e che il mondo vero possa diventare un po’ più come quello solo immaginato.

Un mondo che Kaurismäki costruisce partendo dall’amore totale che ha per il cinema. E anche la scelta di girare a Le Havre, in questo senso, non è affatto casuale. Non solo perché la città normanna ospita un grande porto (elemento irrinunciabile nei film del regista) ma anche perché risiede nella patria del cinema per eccellenza: la Francia. Ed è proprio il grande cinema francese che Kaurismäki intende omaggiare con questo film e non solo per via dell’ambientazione. Elegantemente fusi nel côté della pellicola troviamo infatti lo stile antieroico e un po’ partigiano di Melville, la candida umanità di Renoir, il realismo asciutto di Bresson. Ma non mancano le suggestioni legate alla Nouvelle Vague e soprattutto l’omaggio alla leggendaria Arletty, simbolo non solo di un certo cinema, ma anche di un’epoca e di una nazione.

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