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Film della settimana - 6 aprile


Gorbaciòf di Stefano Incerti


Sinossi

Marino Pacileo detto Gorbaciòf (così soprannominato a causa di una voglia sulla fronte, tanto simile a quella dell’ex presidente sovietico) è cassiere nel carcere di Poggioreale, ha il vizio del gioco ed è innamorato di una giovane cinese, Lila, immigrata illegalmente. L’uomo cercherà disperatamente una via d’uscita per sfuggire alla drammatica condizione esistenziale vissuta da entrambi.



Toni Servillo è senza dubbio il migliore interprete del cinema italiano. Dopo una vita spesa sui palcoscenici, a partire dal 2004, da quel Le conseguenze dell’amore che impose la sua figura impassibile e al tempo stesso tragica, l’attore napoletano è diventato l’oggetto del desiderio di ogni regista italiano. Con Gorbaciòf, Stefano Incerti ha costruito l’intero suo film sulla mimica di Toni Servillo, pesantemente truccato e a livelli di virtuosismo quasi disumani: mix ammirevole di fragilità e vigore fisico, l’attore intepreta un personaggio atletico, di passo veloce, forte, rivestito con un’eleganza popolare stonata di giacche aderenti (“azzeccate”, detto alla napoletana), con basette e capelli lunghi unti arricciolati sul collo, si muove con autorità padronale vagamente minacciosa per le vie del quartiere dietro la stazione. La sua bravura è così evidente da rischiare di compromettere la tenuta del film, tutto centrato sugli spostamenti fisici del protagonista, sulle sue interminabili camminate e sui suoi movimenti da tic psicologico.

Fortuna, però, che l’interpretazione istrionica di Servillo è in sintonia con l’ambiente che lo circonda, dal momento che l’altra grande protagonista del film è la città di Napoli, frenetica, rumorosa, senza pace come Gorbaciòf: i rumori delle sue strade, su cui la colonna sonora indugia e insiste, rendendo del tutto superflui i dialoghi, ne fanno una specie di girone infernale, una gabbia da cui è impossibile uscire come nella grande tradizione del gangster movie americano, in particolare newyorchese.

Incerti realizza così un’opera insolita, una scommessa stilistica audace e brillantemente vinta. Il mondo che il film mette in scena è infatti quello di un’opera di genere che prede le mosse da una constatazione sconfortata, un mondo senza affetti, cui tradizionale umanità popolare è stata corrotta alle radici. Gorbaciòf, protagonista e padrone del film, non parla con nessuno, raramente guarda in faccia qualcuno o prende in considerazione un interlocutore. Va sempre spedito, anzi tira dritto, indossa una giacca troppo stretta con i bottoni troppo alti goffamente allacciati, porta le basette e i capelli lunghi impomatati. È squallido e altero al contempo, reietto ma con una sua eleganza di portamento. All’occorrenza sa anche picchiare duro. Il suo sguardo spento, metodico e grigio, si accende di luce solo quando vede Lila, la ragazza cinese: e come succedeva nei film di Sorrentino, e in più in generale nei film dominati da Servillo (che sovente può a buon titolo considerarsi co-autore), non solo Le conseguenze dell’amore, quindi, ma anche il recente Il gioiellino, è l’amore di una giovane donna, lo sguardo di purezza che il malvagio sa di non poter accogliere a spingerlo verso il cambiamento.

Il destino è baro, naturalmente, come succedeva ad esempio in Carlito’s Way di De Palma (1994), quasi un modello per il film di Incerti, ma a differenza di quanto riesce a fare il cinema americano, che mitizza ogni antieroe o malvivente di cui traccia la tragica parabola, per il cinema italiano un personaggio come Gorbaciòf è sì un eroe, ma un eroe ridicolo, una figura da commedia dell’arte che si impone per il suo aspetto fisico e con esso afferma con dolore tutta la sua tragicità. E il film resta così in un limbo di incertezza e al tempo stesso di bellezza.

Malgrado il finale forse buttato via e scontato, resta un film anomalo – è un noir? una metafora? una commedia? – non solo un bel film, ma un’indicazione di metodo e di poetica.

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