Animal Kingdom di David Michôd
Sinossi
Alla morte della madre, il giovane Josh Young si trasferisce presso la nonna ed entra a far parte del clan degli zii, gangster pericolosi e ricercati che vivono seguendo regole tribali e violente. Quando uno di loro viene ucciso dalla polizia, Josh si troverà costretto a scegliere tra la famiglia e il tradimento, scoprendo che l’unico modo di sopravvivere è giocare secondo le regole spietate del suo clan.
Animal Kingdom è una delle sorprese dell’attuale stagione cinematografica. Vecchio in realtà di un anno (ma, si sa, qui da noi i film vanno doppiati e il tempo per distribuirli è sempre tanto…), vincitore un anno fa del Sundance Film Festival, poi ripreso dalla Festa del cinema di Roma e uscito subito dopo nelle sale, è una classico gangster movie all’americana, con famiglie tribali in conflitto con la legge e laceranti scontri di coscienza. La particolarità, però, è che non si tratta di un tradizionale film indie hollywoodiano, ma di un’opera prima australiana, diretta da un regista che ha fatto incetta di cinematografica hard-boiled e di cinema d’autore, soprattutto – e dici poco - di Michael Mann e Scorsese.
La trama, come è giusto che sia in un film che si erge “sulle spalle dei giganti”, è quella di sempre: un ragazzo non ancora maggiorenne resta senza madre e viene accolto dalla nonna e dagli zii, che vivono come un clan tribale e sono tutti criminali dalla faccia losca ma borghese. Il ragazzo entra nelle trame della famiglia, a suo modo (cioè freddo e distaccato) si affeziona a tutti loro, ma quando la verità comincia a bussare alla porta, quando cominciano ad arrivare le rapine, i morti, i tradimenti, le armi, i discorsi da pelle d’oca, il poveretto non sa più cosa fare. Non sa, insomma, se arrendersi al richiamo animalesco delle radici oppure opporsi ma condannarsi all'infelicità eterna.
I riferimenti al noir hollywoodiani sono chiari, così come la strategia pubblicitaria che sulla locandina del film ha scritto a caratteri cubitali “la risposta australiana a Scorsese”. Vista però la potenza visiva del film, in molti hanno notato che forse dovrebbe essere lo stesso Scorsese, ultimamente un po’ a corto d’ispirazione, a riprendere vigore da film come questi, che naturalmente sono girati come li girava lui vent'anni fa e che devono al cinema americano la mitologia dello spazio familiare come scena privilegiata della tragedia.
Animal Kingdom non dice nulla di nuovo, ma conferma come il cinema possa sopravvivere in eterno a se stesso, ripetendo schemi inesauribili (l’uso del rallentatore, la musica come estensione emotiva dei personaggi, il racconto di formazione come sguardo sul mondo) e sottraendone altri: in questo film, per esempio, tutti gli snodi fondamentali della trama, specie nella seconda parte, sono lasciati fuori campo, si percepiscono solo dalle reazioni dei personaggi.
Quello di Michôd è un film molto costruito, poco originale se si vuole, ma a suo modo perfetto: teso, straziante e straziato, che non prende solo da Scorsese ma pure da Mann (la sequenza del viaggio del testimone di giustizia è uguale a quella di Insider - Dietro la verità) e da Eastwood, con il discorso della madre-nonna-padrona al poliziotto corrotto che ricorda per lucidità e freddezza quello della moglie di Sean Penn in Mystic River, a sua volta ispirato al monologhi di Lady Macbeth nella tragedia shakespeariana.
Un film dunque artigianale e solido come si “facevano una volta”, non retrò ma rispettosamente rivolto al passato, prezioso perché capace di riconciliare con l'immaginario del cinema contemporaneo.
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