Io sono con te di Guido Chiesa
Sinossi
Galilea, duemila anni fa. In una terra sottoposta al giogo coloniale dei romani, una giovane ragazza, Maria, viene promessa in sposa a Giuseppe, un vedovo con due figli abitante del villaggio di Nazareth. La ragazza è sensibile alle ingiustizie del mondo patriarcale e insofferente alle regole imposte dal capo della famiglia del marito: ma quando darà alla luce suo figlio Gesù, Maria si troverà a diventare suo malgrado pietra dello scandalo.
Io sono con te di Guido Chiesa è stato uno dei film più interessanti presentati al Festival di Roma dello scorso ottobre e una delle più originali opere del recente cinema italiano. Non necessariamente la migliore, ma una delle più complesse e sincere. L’ha diretto un regista caro alla città di Alba, lo stesso che dieci anni fa tentò l’impresa di portare sullo schermo Il partigiano Johnny e che ora ci ha riprovato con una sfida ancora più ardita: raccontare la parabola esistenziale, prima ancora che religiosa, di Maria, la sua giovinezza e la sua maturità.
Il volto perfetto l’ha trovato in due donne di origine berbera, la ragazzina Nadia Khlifi e la signora Rabeb Srairi, entrambe provenienti dall’entroterra tunisino dove il film è stato girato, mentre l’ispirazione ideale, ipotizziamo noi, l’ha probabilmente avuta grazie a uno dei versi più belli di De André, quel «femmine un giorno, madri per sempre» riferito alla stessa Maria, ma in realtà rivolto a ogni donna di questo mondo
Guido Chiesa è un credente, l’ha dichiarato più volte nelle interviste a Roma. È un credente, dicevamo, che al contrario del Pasolini disperatamente alla ricerca di Gesù nel suo Vangelo, «cerca di andare verso tutti, chi crede e chi no, nel tentativo di convincere che il Vangelo non parla di magie, ma di cose molto concrete». Il suo racconto ha infatti il colore caldo della terra d’Africa, i volti giusti di attori non-professionisti, il passo realista di un spiritualità concreta che cerca nei corpi e negli spazi filmati una dimensione ultraterrena.
«Il soprannaturale», ha detto ancora Chiesa, «non è visibile, non può essere affrontato con i nostri strumenti di pensiero, la nostra logica, la ragione». Il suo Vangelo personale, perciò, manda un messaggio soprattutto umano, afferma «un modello antropologico e pedagogico universale fondato sull’affetto e la fiducia». È nell’essere madre, nell’amare il figlio senza nulla chiedere in cambio, che Maria esprime la sua grandezza. E Io sono con te fin dal titolo dichiara l’intenzione di recuperare il legame tra genitori e figli come appiglio per una rinascita spirituale dell’umanità.
Se negli ultimi anni si è parlato tanto di crisi del sistema globale, di alternative al consumismo e filosofi come il francese Serge Latouche hanno affermato l’idea di una possibile decrescita felice, quello che invece Chiesa afferma è la necessità del rapporto madre-figlio come principale fondamento etico del nostro vivere: a suo modo un’idea anch’essa alternativa alla cultura che ci circonda . «L’amore può davvero cambiare le cose», ha ripetuto più volte: sembra banale, forse lo è, ma non è sbagliato, non può e non deve esserlo.
In fondo, lo scandalo è un altro, è quello di Gesù, è la rivoluzione del pensiero, il sacrificio umano che diventa spirituale. L’amore di Maria, invece, è un sentimento comune a tutte le donne del mondo: donne che un giorno potranno essere madri e trovare in una piccola ragazza berbera il gentile modello del loro affetto.
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