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Film della settimana - 2 novembre

Il cigno nero di Darren Aronoksky



Sinossi
Nina è una ballerina del corpo di ballo di New York la cui vita è completamente assorbita dalla danza. Timida e complessata, vittima di una madre autoritaria, giunge all’apice della carriera quando viene scelta per il ruolo di protagonista in una nuova versione del Lago dei cigni. Ma la ricerca ossessiva della perfezione, la seduzione dei propri fantasmi interiori e la rivalità con una compagna spavalda e bellissima, la porteranno a identificarsi pericolosamente con la parabola del cigno bianco sedotto e distrutto dal cigno nero.


Con il successo del precedente The Wrestler, Leone d’oro a Venezia e candidatura all’oscar per Mickey Rourke, l’ex regista indipendente Darren Aronofsky, ora convertito all’industria ma ancora capace di mantenere una certa autonomia sui propri progetti, sembra aver trovato la quadratura del cerchio per il suo cinema. Anche Il cigno nero, anch’esso premiato da un successo mondiale, da parecchio nominations e dalla statuetta per la miglior attrice a Natalie Portman, è come il precedente un film sull’ossessione del corpo che avvia con l’interprete principale un vero e proprio lavoro di ricerca. Il film è infatti costruito sulla pelle della Portman, la cui figura minuta si pone come contraltare del fisico monumentale di Rourke: ma dove in The Wrestler l’avvicinamento alla morte era uno sforzo vitalistico, il desiderio di autodistruggersi come esigenza dello spettacolo a tutti i costi, qui il raggiungimento dello scopo di una vita segna l’incontro con la morte.

Il volo che chiudeva The Wrestler qui ritorna lungo tutto l’arco del film, nei movimenti leggeri e al tempo stesso sofferti della protagonista. È un volo più fosco e metaforico, nelle allucinazioni della ballerina newyorchese ossessionata dai propri fantasmi e dalle proprio allucinazioni, artista dannata dalle scarpette rosse, riflessa in mille specchi, incapace di mettere a fuoco il reale.

In questo senso, Il cigno nero è un film hollywoodiano nella struttura e nella riproposizione di schemi noti (il doppio, il peggior nemico che risiede in se stessi, la relazione tra maestro e allieva), ma arrischiata nelle implicazioni emotive, con Aronofsky che giunge al nodo cruciale, necrofilo, della sua teoria sulla dipendenza e l’autodistruzione. È la morte, o meglio la seduzione del limite che separa da essa, il motore del suo cinema: e Il cigno nero è un film che si fa attrarre dal limite, che lo affronta e lo supera, che si avventura con coraggio anche laddove è pericoloso avventurarsi. E se, ancora, in The Wrestler il salto nel vuoto era lasciato fuori campo, qui è mostrato nelle sue conseguenze estreme, atterraggio morbido nella finzione dello spettacolo, esito tragico nella verità dell’ossessione.

È quest’ultima, infatti, l’ossessione di una ballerina di New York per il Lago dei cigni di Čajkovskij, l’unica realtà che conti. Aronofsky sceglie una struttura epidermica, insegue i movimenti della protagonista e rinuncia a ogni possibile trama per fare del corpo della Portman la sola presenza concreta del film. E se da un lato lo esalta nella sua unicità con lo sguardo nervoso tipico del cinema indie-newyorchese, dall’altro lo intrappola in una dualità da cinema classico, tra visioni e doppi da thriller psicologico e scontri tra freddezza ed erotismo, tra cigno bianco e cigno nero. Tutto questo progredire di eccesso in eccesso, di simbolo in simbolo, fa di Black Swan un racconto forse troppo letterale e metaforico per essere appassionante (con la vicenda della ballerina che diventa a poco a poco simile a quella dello spettacolo che mette in scena), ma al tempo stesso porta il suo autore allo scontro definitivo con la fonte della sua ispirazione e quindi al cuore stesso del suo cinema.

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