Nella periferia di Amburgo un cuoco di origine greca, Zinos, gestisce un infimo ristorante frequentato da una clientela rozza e poco esigente. Costretto al riposo da un incidente, Zinos assume un nuovo cuoco, un visionario chef di nouvelle cuisine, che trasforma il ristorante in un locale alla moda e cambia la vita dei suoi avventori e del suo proprietario.
Con ironia da vendere, il turco-tedesco Fatih Akin, già regista dei drammatici La sposa turca e Ai confini del paradiso, racconta la società globalizzata con una commedia ravvivata da una girandola di personaggi e da eventi al limite dell’assurdo. Il film è ambientato in un ristorante di quelli che servono robaccia a clienti affezionati, ha un protagonista sovrappeso con l'ernia del disco (interpretato dall’attore greco Adam Bousdoukos, che è anche sceneggiatore) e una colonna sonora meravigliosa che mescola funky e rythm & blues con hip hop, rebetiko greco e una canzone di Hans Albers. Come si può facilmente intuire e comprendere già dopo pochi minuti, è una commedia svitata perché oggi bisogna essere un po' tocchi per essere romantici e in Soul Kitchen di Fatih Akin ognuno è così matto da voler fare solo quel che gli piace. Così alla fine vincono i buoni, i cattivi vengono puniti e questi loser degni di un film di Kaurismaki hanno finalmente diritto alla leggerezza e al buonumore di un musical con Fred Astaire.
Autore, sceneggiatore e produttori hanno più volte detto che Soul Kitchen è un moderno Heimat, ovvero un film sull'idea di patria, dunque, modernamente, di comunità, di famiglia, di appartenenza. Che è veramente il massimo per un film girato e diretto da figli e nipoti di immigrati: Akin è infatti di origine turca e nei suoi film precedenti ha sempre affrontato la sofferenza e lo sradicamento della sua condizione, ma mai con un piglio così leggero e scanzonato come in questo caso e anzi indulgendo sovente (ed eccessivamente) nel dramma famigliare.
Perché in fondo, nonostante i drammi (famigliari e non) continuino a succedere e a imporsi sulla cronaca dei nostri tempi, le cose possono anche cambiare. Al cinema, s’intende, dove basta avere un po’ di senso per la composizione delle immagini, una conoscenza musicale da primo della classe, un fiuto per gli argomenti più cool del momento (in questo caso, ad esempio, la cucina creativa) e qualche sano principio controcorrente per fare un film originale e scanzonato che racconti la contemporaneità da un punto di vista tanto inatteso quanto scontato.
Soul Kitchen, nel bene e nel male, è tutti questo: un film divertente, buffo, rumoroso e baraccone; un miscuglio di suggestioni culturali e identità della società moderna e passata che si fondono per un’ora e mezza di commedia che sebbene smarrisca con il passare dei minuti il ritmo irrefrenabile della prima parte, riesce a mantenere salda la forza della sua ironia e della sua bonarietà.
Akin, nato e cresciuto ad Amburgo da immigrati turchi, è quindi tornato nella sua città per dare il via a una sarabanda d'amicizia, amore, mascalzonaggine, follia e paradosso che restituisce con affetto, ma senza indulgenza le atmosfere border line della multietnica e godereccia città portuale. Non è certo imprevedibile lo sviluppo della trama, ma la trascinante cadenza di recitazioni, dialoghi e colonna sonora rende le immagini autentiche, intelligenti, irridenti e l'inclusa protesta contro lo smantellamento dei vecchi, cari (e lerci) quartieri industriali non pedante o ideologica.
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