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Il film della settimana - 15 dicembre

La bocca del lupo di Pietro Marcello 


Sinossi
Tra i carrugi del porto di Genova, nei quartieri denominati dal gergo popolare “la bocca del lupo”, si consuma la storia di Enzo e Mary, lui ex carcerato, lei transessuale, che dopo essersi incontrati in prigione non si sono più lasciati e hanno continuato ad amarsi. Divisi dal carcere e dalle traversie di una vita, con Enzo dentro per vent’anni e Mary fuori ad aspettarlo, i due si sono finalmente riuniti nel 2001 e ora, liberi, poveri ma felici, raccontano la loro avventura di fronte alla macchina da presa.


Il 2010 del cinema d’autore, che ha percorsi e canali quasi del tutto sconosciuti ai grandi media e, di contro, un’invisibilità ai limiti della censura, ha avuto, tra gli altri, un piccolo, grande protagonista. Un piccolo grande film che si è aggirato per l’Europa, talvolta arrivando anche oltreoceano, raccogliendo premi a destra e a manca: si tratta di La bocca del lupo, diretto dal milanese di origini campane Pietro Marcello, ed è un documentario che ha saputo abbattere d’un colpo tutti i pregiudizi e i partiti presi nei confronti di un genere (meglio, una modalità di sguardo e di racconto) che ormai gareggia alla pari, quando non la supera, con la finzione.

Poco più di un anno fa, nel novembre del 2009, presentato in anteprima al Torino Film Festival, La bocca del lupo conquistò in maniera sorprendente il pubblico e la critica e si portò a casa il primo premio del Concorso internazionale, iniziando una camminata trionfale in quasi tutti gli altri festival a cui ha partecipato: a febbraio arrivò il premio più prestigioso, quello del Forum della Berlinale, vale a dire la sezione più sperimentale e ricercate del Festival di Berlino, e qualche settimane dopo il Prix International al Cinéma du Reel di Parigi. Prima ancora, poi, all’inizio di marzo, il film Marcello aveva ottenuto il premio più importante per un regista italiano indipendente: la distribuzione nelle sale. Un modo per sconfiggere con la forza della qualità e della poesia la guerra silenziosa e senza confronto che la grande distribuzione e le programmazioni dei multiplex periferici (gli unici cinema veramente frequentati dal pubblico non urbano) muovono da almeno dieci anni verso il cinema d’essai.

Certo, la permanenza del film nelle sale è stata brevissima e il numero di biglietti staccati tutt’altro che entusiasmante (a riprova, in fondo, di quanto il mondo festivaliero e quello dei circuiti canonici siano distanti anni luce), ma l’uscita nei cinema ha garantito a La bocca del lupo una successiva versione in dvd per Feltrinelli e quasi sicuramente un passaggio televisivo: niente male, insomma, per un film costato centomila euro e realizzato su commissione di un istituto religioso di padri gesuiti.

Già, perché La bocca del lupo è nato da un’idea dalla Fondazione San Marcellino di Genova, che da anni assiste la comunità di senza tetto della città, ed è stato poi affidato a Pietro Marcello e alle piccole realtà produttive Indigo e L’avventurosa Film: una scelta coraggiosa, e non solo per aver pensato di celebrare non l’Opera gesuita, bensì la sua azione e le persone che accoglie.

Il film, infatti, in poco più di un’ora dimostra un mucchio di altre cose: che il documentario può essere emozionante quanto e più della finzione; che il cinema d’autore, anche quando sperimentale e ricercato, sa arrivare al cuore di ogni spettatore; che due mondi apparentemente distanti, quello delle opere religiose e del cinema indipendente, possono comunicare e creare qualcosa di importante.

La bocca del lupo racconta la storia di Enzo e Mary, un ex carcerato e un transessuale che si sono incontrati in prigione e mai più lasciatisi. Divisi dal carcere, con Enzo dentro per oltre vent’anni e Mary fuori ad aspettarlo, i due si sono riuniti nel 2001 e ora possono finalmente diventare i protagonisti della loro stessa avventura. Marcello la racconta con lo stile preciso e poetico di un documentario che sfiora la finzione, tra gli stretti carugi del porto di Genova e il vecchio materiale d’archivio che recupera la memoria di un luogo e di un tempo perduti. Con la voce e il volto scavato dei suoi eroi, con scene naturali e altre recitate, con l’audio dei nastri che Mary spediva in carcere a Enzo, con uno sguardo partecipe e curioso, Marcello dà vita a una storia di ordinaria criminalità che grazie all’abnegazione si è trasformata in amore assoluto.

«Dal letame nascono i fior», ha scritto De Andrè in una canzone dedicata a quegli stessi vicoli, a quelle stesse persone, a quello stesso tempo. Ma non è al passato che La bocca del lupo guarda: parlato con una voce sperimentale eppure chiarissima, nato dall’unione di esperienze umane e professionali diverse eppure vicine, dimostra che non solo è possibile un altro cinema italiano, ma anche un’altra Italia. L’Italia di chi, religioso, regista o semplice cittadino, scende per strada e osserva, ascolta, comprende, salva.

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